La Copenhagen Fashion Week ha una storia recente, ma già importante. Pur avendo debuttato nel 2006, è solo dal 2017 (grazie a due fattori che vedremo) che si è posta come valida alternativa alle settimane della moda più blasonate delle grandi città.

A loro volta queste ultime – in particolare New York, che quest’anno perde Tom Ford (a Los Angeles), Jeremy Scott (a Parigi) e Tommy Hilfiger (a Londra) – stanno affrontando grandi mutamenti, risultati di un decennio che ha cambiato il sistema in ogni suo aspetto. Nel frattempo Copenhagen, con l’edizione appena conclusa dedicata alle collezioni autunno inverno 2020/2021, ha alzato l’asticella sul tema che le è più caro, la sostenibilità.

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Copenhagen capitale della moda sostenibile

L’apertura delle sfilate ha coinciso con un annuncio importante da parte del Danish Fashion Institute (che gestisce le fashion week). L’obiettivo dichiarato di “reinventare la settimana della moda di Copenaghen, ridurre gli impatti negativi, innovare il modello di business e accelerare i cambiamenti del settore“. Ok, ma come? Riduzione dell’impatto sul clima del 50% rispetto agli anni precedenti, ripensamento di tutti i sistemi di gestione dei rifiuti (con un goal di 0 waste entro il 2022), fissaggio di requisiti minimi di sostenibilità per i marchi che vogliono partecipare. Per esempio, per essere inclusi nella rosa dei nomi del 2023, i brand dovranno dimostrare di non distruggere i capi invenduti.

La sfilata autunno inverno 2020/2021 di Holzweiler

Come scrive Sarah Kent su BoF, scegliere di evidenziarsi con iniziative forti su un tema così importante in questo momento – per molti versi difficilissimo da attuare in un environment più ampio e articolato come quelli delle grandi fashion week – è una mossa intelligente. “Non è un problema che può essere risolto con un semplice colpo di polso, ma credo che sia nostro dovere, in quanto protagonisti dell’ecosistema della moda, analizzare a fondo come la settimana della moda di Copenhagen possa favorire il più possibile l’agenda della sostenibilità dell’industria della moda”. […] Come settimana della moda in crescita, dobbiamo contribuire a rendere la sostenibilità attraente. Abbiamo una voce e l’obbligo etico di utilizzarla”, ha spiegato il nuovo CEO Cecilie Thorsmark in un comunicato dello scorso gennaio 2019.

Contemporaneamente, Copenhagen è da sempre la capitale dello stile scandi – che si spiega bene con il detto non troppo, non troppo poco, il giusto” -, affermatosi come macrotrend mondiale delle ultime stagioni. Marchi giovanissimi come Ganni, Stine Goya e Stand Studio hanno un potere di vendita enorme, soprattutto se comparati agli emergenti del mercato italiano. Sono brand con un grande potere comunicativo sia per il loro stile – in passerella sfilano abiti sempre portabilissimi – che per il modo intelligente con cui utilizzano i social (e le influencer) per fare marketing.

Dalla sfilata autunno inverno 2020/2021 di Baum

Tutte le tendenze dalla Copenhagen Fashion Week autunno inverno 2020/2021

Tra le tendenze forti emerse dalle ultime sfilate, ci sono tutti i capisaldi dello stile scandi: la maglieria protagonista, i colori chiari e brillanti, l’utilizzo della pelle nera negli outfit da giorno, i motivi ispirati a quelli di Marimekko, le puffy jacket, le sneakers sempre ai piedi.

L’articolo Perché vale la pena tenere d’occhio la Copenhagen Fashion Week sembra essere il primo su iO Donna.

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