Di creatività e di sostenibilità. L’intervista con Andreas Kronthaler, stilista (e marito) di Vivienne Westwood che ci racconta di un nuovo progetto (est)etico
Vivienne Westwood
È noto che Dame Westwood si sia congedata dal suo marchio, cedendo la responsabilità creativa al marito Andreas Kronthaler: le ultime sfilate si concludono con lui che esce con un magnifico mazzo di fiori, intento a riportare la stilista in passerella, seduta tra il pubblico. Ora, il suo primario “affare” è la salvaguardia dell’ambiente e il cambiamento climatico, con tanto di striscioni e manifestazioni in piazza. Ma in casa “Westwood”, si sa, la moda non è solo un atto del vestirsi ma un modo chiaro e netto per comunicare.
Il progetto estetico del punk anni 70, teso a terrorizzare, sconvolgere o ribaltare, oggi diventa un progetto etico. Molto probabilmente ben lontano dai dogmi del marketing, dalla velocità digitale: la creatività, qui, ha un respiro più lento e più ampio. Si può paragonare a un’opera artistica, a un saggio filosofico, visto e rivisto, scritto e riscritto: tutto volto a una moda consapevole. Vivienne Westwood è sempre pronta a combattere per quello in cui crede e ad andare controcorrente e Andreas Kronthaler lo fa con la fine arte sartoriale e del riciclo. È lui che traduce il messaggio di sostenibilità attraverso i codici stilistici.
Le sue collezioni sono realizzate con tessuti riciclati: drappi non ancora tagliati o invenduti. Materiali che mostrano la chiara filiera grazie a importanti certificati: FSC, una certificazione di Canopy che assicura che le fibre naturali non contribuiscano alla deforestazione del mondo; Global Organic Textile Standard e Control Union Certified, per il cotone che viene solo da campi dove non è stato trattato da pesticidi che può portare rischi alla salute dell’uomo; o Bogodanfani, fantasie realizzate con terra e fango seguendo l’antica tradizione della tribù Mandé originaria del Mali, attività volta a tutelare le comunità dei produttori artigianali. Queste sono solo alcune sigle e nomi, poche in confronto alle lunghissime schede tecniche dei capi e accessori disegnati da Andreas Kronthaler.
Il suo modus operandi si scontra violentemente con la realtà del fast fashion e con chi produce numerose capsule collection. “Che benefici porta al mondo? Qualità nel design e nell’esecuzione, non quantità” – parole che suonano come una chiara stoccata verso chi si vanta impropriamente del valore “sostenibile”. Di questo e di altro, nell’intervista che segue con Andreas Kronthaler.
Da quando hai mosso i primi passi nella moda ad oggi, si parlava già di “moda etica”? Vivienne Westwood è stata una delle prime stiliste a portare l’attenzione su questo tema…
Ho iniziato a lavorare nella moda con Vivienne fra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, e di questi argomenti non si parlava allora. Poi le cose sono cambiate, siamo consapevoli che esiste il problema del cambiamento climatico da più di dieci anni, abbiamo cominciato a pensare quale sia l’impatto della moda su tutto questo. Ed è ovviamente nostra responsabilità pensarci, e contribuire a risolvere il problema. Il mondo cambia continuamente e a velocità impressionante, fa paura.
Cambia l’approccio creativo quando si vuole fare una moda sostenibile?
Ovviamente sì. Un tempo era molto difficile trovare materiali sostenibili e la scelta era molto limitata, ma oggi scegliere tessuti bio è il minimo che si possa fare. E in ogni fase del processo creativo dobbiamo sempre domandarci: abbiamo davvero bisogno di questa cosa? Che benefici porta al mondo? Qualità nel design e nell’esecuzione, non quantità.
Ci puoi fare qualche esempio che riguarda le tue collezioni…?
Per Andreas Kronthaler for Vivienne Westwood collezione primavera estate 2020 abbiamo collaborato con Wastemark – ndr marchio che identifica lo spreco di valore e il valore dello spreco -: qui abbiamo utilizziamo tessuti di scarto delle migliori aziende italiane, come reduce, reuse, rethink. Inoltre, abbiamo scelto tessuti inutilizzati e fondi di magazzino del nostro stesso atelier, e questo ha influito sulle nostre scelte per quanto riguarda il design. Per la seconda stagione abbiamo anche collaborato con la Ethical Fashion Initiative utilizzando tessuti fatti a mano in Mali, come il bogolan – ndr che significa fatto con il fango, una tecnica per tingere i tessuti antichissima della tribù Mandé originaria del Mali – tinto con colorazioni naturali, tessuti damier.
Cosa pensi di Greta Thunberg e degli haters che la inseguono?
Non conosco e non considero i suoi hater. A Greta va tutta la mia stima, ci ha aiutato a renderci conto del problema. Greta mette tutti insieme, a livello globale, ha messo in luce il bisogno di una cambiamento. Abbiamo bisogno di molte più Greta in questo mondo.
C’è chi pensa che oggi fare la differenza sia impossibile: cosa ne pensi?
Si parte sempre da noi, qualunque tipo di influenza, anche piccola, tu voglia avere sul mondo esterno, deve partire da te, è così che si può avere davvero un impatto. Alla fine poi si tratta di cambiare le nostre abitudini e le abitudini della nostra società. E quando questo accade, ti chiederai come mai non lo avessi fatto prima.
ARTICOLO TERMINATO!
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