Un’altra idea di mascolinità è possibile. E ricercarla può essere non solo utile, ma anche bellissimo. Parola di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, la cui collezione menswear dedicata all’Autunno-inverno 2020/21 è andata in scena, a Milano, a chiusura della Settima della Moda Uomo.
Che quella di ridefinire non solo l’immaginario, ma la sostanza stessa, del «maschile» sia un’esigenza avvertita con impellenza da Michele ci era risultato chiaro fin dal suo esordio alle redini della griffe, ormai 5 anni fa (pochi, se ci pensiamo, ma un’intera era geologica nel rutilante mondo della moda che lui stesso ha contribuito a modificare così radicalmente). Ma ora Michele ci suggerisce anche un modo – uno dei tanti, forse il più poetico e struggente – per provare a farlo. Ovvero – Giovanni Pascoli insegna – facendo un salto carpiato all’indietro nel nostro più lontano passato, ripescando quel fanciullino per il quale tutto era possibile.
TUTTE LE STAR ALLE SFILATE DI MILANO MODA UOMO AI 2020/21:
Perché, prima degli obblighi della prima elementare – «questo non è da maschio, non puoi metterlo, questo non lo puoi più fare, sei grande ormai, eccetera eccetera eccetera… -, tutti noi, nel modo più meravigliosamente inconscio possibile, abbiamo vissuto l’ebrezza di una libertà assoluta e sconfinata, senza etichette, che mai più avremmo saputo e potuto gustare.
Ed è proprio in quella libertà e in quell’incoscienza che, secondo Michele, si possono rintracciare i mattoni per costruire un’altra, forse più sincera, mascolinità.
«È uno show per soli uomini», esordisce scherzando Michele. «Sono contento di essere tornato a Milano, di poter rivedere i compiti che ho svolto nel passato, perché anche lo show col quale tutto è iniziato era maschile. Consideriamola un ripasso, questa sfilata: ripetere e ripetermi in questo percorso era molto importante per me».
Così, in passerella, abiti, giacchette e camicie piccoli, minuti, a vestire ragazzi sexy con il ciuffo rockabilly, che quasi sembrano interpreti di un se stesso di venti anni fa, con indosso gli stessi abiti di allora. «Mi interessa molto quello che c’ è si sorprendente nelle piccole cose dei bambini», chiarisce ulteriormente il direttore creativo. Ma a premergli è anche sottolineare come la sua narrazione, quella mandata in passerella, non voglia di fatto escludere quella mainstream, ben più rassicurante e abituale. «Volevo raccontare la complessità dell essere uomo non per forza come ci è stato raccontato crescendo. Volevo rendere evidente la tossicità dell’essere maschile in un modo stereotipato. Una cosa estremamente pericolosa, per gli uomini ma anche per le donne. Questa sfilata è un inno al sesso maschile, capace di tante cose, anche di revisionare quello che gli è stato insegnato. Anche di tornare indietro e di re-imparare un modo diverso di essere maschi. Ma attenzione: non voglio di struggere il mondo degli uomini, ma ampliarlo il più possibile».
Un’intenzione che ha una sua connotazione anche politica, nemmeno troppo velata: se è vero che i «ruoli» – e il loro facile mantenimento – interessano molto alla politica perché sono proprio i ruoli a rendere il governo più semplice, diverso – e più complicato – è governare gli individui.
Torniamo allora sui banchi di scuola. E impariamo di nuovo a essere maschi. Il fanciullino che è in noi lo pretende, e noi non possiamo che assecondarlo.
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