Il mondo è in crisi. Crisi politica, climatica, crisi economica, produttiva e umanitaria. E proprio per questo Business of Fashion ha pensato di organizzare un simposium per stimolare e sensibilizzare i potenti di ogni campo ad agire. Creativi, imprenditori e attivisti di tutto il mondo si sono infatti riuniti per VOICES 2019, il raduno annuale dedicato ai grandi pensatori, per dialogare apertamente in due giornate sul ruolo della moda in questo momento controverso di disordini globali. Da Extinction Rebellion all’industria della moda sotterranea dell’Iran, questa quarta edizione di VOICES, in collaborazione con JHSF, ha cercato di espandere le prospettive e risolvere le sfide del mondo reale collegando attivismo, moda, salute e benessere, scienza, media, politica, arte e filantropia.
Il dibattito è iniziato con un discorso appassionato e provocatorio di Clare Farrell, co-fondatrice del gruppo d’azione ambientale Extinction Rebellion. Dando uno sguardo alle origini, alle pratiche e agli obiettivi del movimento in rapida espansione, ha esortato i leader del settore a chiedersi “cosa c’è di glamour nel vivere in un mondo morente, e quello che sta facendo la moda nel pianeta, pensate ne valga davvero la pena?”. Non è facile rispondere alla domanda, anche perché smettere di produrre affligge la forza lavoro del sistema moda, ma d’altra parte la produzione sostenibile non è ancora diffusa o alla portata di molte realtà produttive. Riconoscendo che Extinction Rebellion non ha tutte le risposte, Farrell ha sollevato l’urgenza di “conversazioni approfondite e stimolanti” sull’equilibrio tra preoccupazioni riguardanti impieghi a breve termine e realtà a più lungo termine, rispetto etico del lavoro e cura per l’ambiente.
The Business of Fashion Presents VOICES 2019 Day 1
Clare Farell Extinction Rebellion Photo by Samir Hussein/Getty Images
In questi giorni è stato lanciato online un video diretto da Jordan Rossi per Rankin che mostra le richieste che Exctinction Rebellion indirizza a tutti i governi del mondo, per prendere provvedimenti contro la crisi climatica, chiedendo qual è il loro piano e usando l’hashtag: #WhereIsYourPlan. Con i volti di Downton Abbey e Love Island e artisti del calibro di Ellie Goulding, Daisy Lowe, Jaime Winstone, Chris Packham, Imelda Staunton, Jim Carter e Stephen Frears.
The Business of Fashion Presents VOICES 2019 Day 2
Samir Hussein
Sul percorso verso la sostenibilità e al nuovo modo di intendere l’artigianalità è intervenuto Matthew Williams, fondatore e direttore creativo di Alyx. “Credo che ci siano troppi vestiti su questa Terra. Mi sono assunto la responsabilità di realizzare abiti, devo creare qualcosa che meriti di esistere” ha dichiarato il designer. La preferenza di Williams per il design ecologico si è manifestata in diversi modi. In primo luogo progettando capi che dovrebbero durare una vita (ad esempio il capospalla in cotone trattato in collaborazione con Mackintosh) e in secondo luogo applicando processi di produzione eco-compatibili con un’attenzione a integrare la maestria artigiana con nuove tecniche, la cui espressione si vede nell’utility tailoring di Alyx (in collaborazione con Caruso). Il designer ha esortato a un consumo più responsabile, a pensare al valore dell’acquisto e la durabilità del tempo o la versatilità, come nel caso della stringata con suola rimovibile sportiva in collaborazione con Vibram, che permette, con una sola scarpa, di averne in realtà due: una più formale e una più sportiva. A seguito della collezione primavera estate 2018 del marchio, Williams ha anche lanciato la ALYX Visual, una collezione di capi realizzati esclusivamente con filati di cotone riciclato provenienti da abiti usati.
The Business of Fashion Presents VOICES 2019 Day 1
Samir Hussein
Zain Verjee, fondatrice e amministratrice delegata del gruppo Zain Verjee ed ex fondatrice della CNN, ha moderato una conversazione che ha esaminato lo stato attuale della moda e delle industrie manifatturiere in tutta l’Africa, con l’intervento di Omoyemi Akerele, fondatore e direttore della Lagos Fashion Week e dell’agenzia di sviluppo commerciale Style House Files, Matt Liu, direttore esecutivo della Made in Africa Initiative, organizzazione che facilita le aziende dell’Occidente e dell’Asia a creare le proprie realtà produttive in Africa, e Liya Kebede, top model, designer e fondatrice di Lemlem, una collezione per donne, uomini e bambini, interamente realizzata in Africa da artigiani locali. Il trio ha avviato un vivace dibattito sui potenziali benefici e rischi dell’aumento della produzione di moda nei paesi di tutto il continente africano, in particolare per designer e lavoratori locali, con Akerele che ha affermato: “Abbiamo accesso a queste fabbriche ma è abbastanza strano che i designer (africani) non abbiano accesso a produrre le loro collezioni nella giusta quantità”. Il problema delle risorse tessili è portato all’attenzione proprio dai designer locali come IAMSIGO, uno dei brand di punta della Lagos Fashion Week, la cui collezione Fall Winter 2019 “Cotton is Queen” realizzata con cotone locale, colorazioni naturali e pvc ricicalto, è un manifesto proprio contro la difficoltà di poter accedere alle risorse tessili, il cui uso è destinato all’export internazionale. Akerele ha poi posto l’accento anche sull’indiscusso talento nigeriano e sulla volontà di continuare a formare i designer locali, grazie al Centro di sviluppo del capitale umano (HCDC) che è stato istituito dal Consiglio di promozione delle esportazioni nigeriane a Lagos per creare una strada per i professionisti nella produzione di abbigliamento, per entrare in contatto con attrezzature moderne ed essere addestrati in un ambiente industriale per produrre abbigliamento di alta qualità, sia per il locale che per mercati internazionali.
E dall’Africa la riflessione si è spostata in Iran. Hoda Katebi, scrittrice e fondatrice della piattaforma di moda politica JooJoo Azad, ha introdotto il pubblico alla scoperta della moda in Iran, un tempo valorizzata e ritratta nei dipinti dell’arte del periodo Qjar che raffiguravano il raffinato gusto, totalmente no gender dello stile persiano, inclusi i dipinti dello Shah Fath-Ali, in cui decori e abiti a ruota sono rimasti nella memoria. Oggi, la delicata situazione politica e il clima di repressione confinano la moda a un’attività underground, che avviene a porte chiuse o su Instagram, come nel caso del brand Vaqar che comunica e vende i propri capi grazie a Internet. Il duo di designer autodidatte Shiva e Shirin Vaqar spera di ampliare i confini tra la conformità della loro cultura e il progresso della società occidentale, reinterpretando l’abbigliamento tradizionale iraniano. Le collezioni no-gender sono fatte di giacche strutturate, stratificazioni, abiti fluidi e voluminosi, in un paradosso tra minimale e opulento. Crescendo nell’isolamento politico e sociale, il loro marchio spera di ispirare un sentimento di connessione con il mondo esterno, incoraggiare l’espressione di sé e alimentare una voce per il cambiamento, nel quale ognuno di noi è invitato a partecipare.
ARTICOLO TERMINATO!
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