Hermès
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Brunello Cucinelli
Brunello Cucinelli
Barbour
Tricker’s
Turnbull & Asser
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Se è vero lusso, allora è per sempre. Tramonta l’edonismo della moda «usa egetta» e agli albori di questi nuovi anni 20 si affaccia l’idea che ciò che viene acquistato a caro prezzo debba necessariamente durare nel tempo. Un cappotto, una camicia o un paio di scarpe si trasformano a tutti gli effetti in un investimento che ha diritto, al pari di altri beni durevoli e griffati, alla manutenzione da parte della casa madre.

Una toppa (ben fatta) diventa quindi una medaglia da appuntare al petto sia per chi è felice di avere speso bene i propri soldi sia per il brand che grazie a quella soddisfazione sa di avere fidelizzato un cliente. La contrazione dei consumi generata dalla pandemia è solo una delle tessere di una partita a domino iniziata già da qualche anno ossia da quando la sostenibilità da un’etichetta green di cui farsi vanto a livello di marketing è diventata una strada da perseguire per davvero.

«I consumatori sono gli azionisti finali del settore del lusso» si legge in un approfondimento di McKinsey pubblicato a emergenza sanitaria appena iniziata, «dopo la crisi probabilmente si affermerà lo slancio verso la sostenibilità e il desiderio di un consumo più responsabile. L’esperienza suggerisce anche che, dopo una crisi come questa con un pesante tributo emotivo, le preferenze dei consumatori potrebbero spostarsi, almeno per un po’, verso un “lusso silenzioso” invece che ostentato, prestando maggiore attenzione all’artigianato e all’heritage di un brand». Ecco allora che l’indirizzo a cui mandare il capo da riparare non è più nascosto tra le FAQ del sito ma diventa una voce a se stante degna di comunicati stampa e post sui social network.

Chi da tempo si sgola sul tema è Pierre-Alexis Dumas, direttore artistico di Hermès nonché discendente di colui che fondò la maison a Parigi nel 1837, il sellaio Thierry Hermès. Per lui l’innovazione nell’artigianato passa proprio dai laboratori in cui si può riparare qualsiasi cosa esca dall’azienda. Come è scritto chiaramente sul sito: «Dalle selle ai modelli in seta, passando per gli orologi, tutti prodotti Hermès possono essere riparati e tornare così a risplendere di luce propria».
«L’ho detto tante volte ma ricordo che mio nonno diceva a me bambino “il lusso è ciò che puoi riparare”» racconta recentemente Dumas a Vogue US sottolineando quello che è diventato un vero e proprio mantra «e lo diceva negli anni 60 e 70, quando a nessuno interessava riparare. Oggi capiamo quando sia importante non sprecare. Se la tua borsa può essere rimessa a posto e posso continuare a portarla, ecco, quella è una sensazione meravigliosa».

Un carré di Hermès in manutenzione

Alla cosiddetta «Arte del Riparare» Brunello Cucinelli dedica una lettera pubblicata on line inserita tra i Pensieri sul Mondo Contemporaneo. Il testo è datato 18 febbraio 2020 e nel titolo si entra subito in medias res: «Riparare è un’azione non solo pratica ma anche etica». I capi che vedono la luce nel borgo umbro di Solomeo, quartiere generale dell’imprenditore, sono praticamente garantiti a vita perché il filosofo del cashmere, affidandosi alle parole di Confucio dice: «Io tramando, non creo».

Tra un dato e l’altro relativi al fatturato del 2019, si mettono nero su bianco i valori del brand: legame di appartenenza con il cliente e valore del capo da custodire e magari – appunto – tramandare alle generazioni successive. «Vorremmo che i nostri capi vivessero nel tempo» auspicano in Brunello Cucinelli «per questo ripariamo da sempre i nostri capi, consumati, usurati nel tempo o accidentalmente deteriorati». Un servizio gratuito e gradito a giudicare dai numeri: al 31 dicembre 2019 sono stati 2886 i capi ricondizionati.

Se ci spostiamo nel Regno Unito allora lì è tutto un altro paio di maniche, pure in senso letterale. Lo vediamo con la famiglia reale: loro non buttano ma rammendano, ricuciono, riciclano in una maniera ancora lontana dalla sensibilità di molti a queste latitudini. Non è un caso inoltre che molti dei brand che hanno fatto del loro laboratorio riparazioni un vanto siano fornitori ufficiali di Buckingham Palace e dintorni. La regina è solita mandare il suo Barbour a fare il tagliando.

Essendo a quanto pare piuttosto malconcio, l’azienda si sarebbe permessa di mandargliene uno nuovo di zecca. L’avessero mai fatto: Elisabetta ha rivoluto il suo, poco le importava che fosse rattoppato. La sovrana non è l’unica a dimostrare un attaccamento viscerale alla giacca cerata più famosa del mondo. I servizi che l’azienda offre sono molteplici, non solo di ceratura ma anche di quelli che possono essere considerati dei restauri belli e buoni. L’azienda di South Shields i miracoli se li fa pagare bene ma chi si rivolge a loro non bada a spese: farebbero di tutto pur di potere sfoggiare il capo anche con un patchwork di fodere tartan o di scampoli di cotone ricuciti con diverse gradazione di verde.

Oltremanica a dire il vero il concetto di make do and mend è in auge dalla Seconda Guerra Mondiale. A quel tempo fu proprio il Ministero dell’Informazione a divulgare un opuscolo con consigli per arrangiarsi con quello che si aveva già in casa. Erano tempi frugali in cui si recuperava la lana dei maglioni vecchi, gli abiti maschili dismessi diventavano gonne e si applicavano toppe sui buchi lasciati dalle tarme. Anche se i tempi sono cambiati, Turnbull & Asser ripara colletti e polsini delle camicie firmate dalla sartoria dal mandato reale. Nel laboratorio di riparazione di Gloucester gli artigiani che lavorano per il brand tengono l’ago in una mano e una tazza di tè nell’altra, circondati da contenitori di plastica pieni zeppi di stoffe. Quelle scatole sono come dei forzieri che custodiscono il vero tesoro di Turnbull & Asser: si tratta dell’archivio di tessuti a cui si potrà attingere se la propria camicia su misura si rompe, si macchia o si consuma.

Tricker’s è una dei marchi di calzature preferite dal principe Carlo. L’erede al trono britannico, attentissimo alle questione ambientali, ha trasformato la parsimonia in una vera e propria tendenza con il suo impegno a favore della sostenibilità nella moda. Lui che racconta con fierezza di avere scarpe più vecchie dei suoi figli, è uno che il calzolaio lo frequenta con assiduità ma rimandare a Tricker’s un paio di stringate o di mocassini non è prerogativa reale. Sul sito c’è anche il tariffario di questo servizio riservato ai clienti che deve essere comunque l’ultima spiaggia: sulla stessa pagina sono elencati i suggerimenti per avere cura dei vari prestigiosi pellami per evitare di avere bisogno di loro. C’è da dire che anche se decisamente più cari di un calzolaio normale, non c’è dubbio che le scarpe torneranno ai piedi come nuove. Tra i marchi classici, anche John Lobb ha attivo un servizio concierge mentre se si possiede un paio di Church’s si può passare nella boutique monomarca per una valutazione del danno o spedire direttamente alla fabbrica di Northampton per una riparazione coi fiocchi.

L’allungamento del ciclo di vita di un capo non rimane confinato allo stile classico. Dal 2005 Patagonia si offre di riparare gratuitamente tute, giacche, zaini, zip e bottoni dei capi usciti con il loro marchio attraverso la campagna WornWear. L’idea è quella di acquistare meno pretendendo qualità: sul sito segnalano che usando l’attrezzatura anche solo nove mesi di più di quello che uno farebbe serve a ridurre l’impronta di carbonio, acqua e rifiuti del 20-30%. Lo slogan è «perché sprecarlo se puoi riutilizzarlo»: un appello che dall’inizio di questa avventura è servito a rimettere a nuovo oltre 415mila capi Patagonia. Angoli sartoria sono sorti anche in molti negozi Levi’s dove si possono non solo adattare i jeans al momento dell’acquisto ma anche rammendarli, ricucirli, rattopparli o reinventarli.

È naturale che Veja, le sneakers che hanno la fama di essere le più sostenibili del mondo, non si accontentino solo della filiera controllata, dei materiali innovativi e del compenso equo per i lavoratori ma vogliano far propria anche la battaglia della riparazione. In una ex caserma militare a Bordeaux, occupata da 50 associazioni e 200 aziende, il brand portato alla ribalta da Meghan Markle durante il tour in Australia debutta con una nuova idea di negozio in cui pulire, riparare e riciclare scarpe che i più butterebbero via.

In questo guazzabuglio in cui il settore del fashion sembra non trovare nuove coordinate spazio-temporali, alla ricerca di idee da abbracciare e di identità da riscoprire, la via verso la sostenibilità già intrapresa da molti brand del lusso pare una buona strada da percorrere. Il drammatico combinato disposto tra varie sfumature di una crisi a 360° potrebbe vedere uno spiraglio di luce nei laboratori di riparazione delle case di moda. In molti sono pronti a scommettere che spenderemo di più e meglio: i rammendi saranno cicatrici cool da indossare con orgoglio e le scarpe risuolate serviranno a ridurre la nostra impronta ecologica. In alto le toppe quindi e lungo ciclo di vita ai nostri vestiti buoni.

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