Statuaria, eppure leggiadra: come una visione, Nicole Kidman si muove dal piccolo al grande schermo con innata disinvoltura. Cambia pelle e si reinventa fino a farci dimenticare tutto il resto. La nuova sfida, presentata al Festival di Toronto, è Il cardellino, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo Premio Pulitzer. In Italia arriva il 6 dicembre in una forma insolita e direttamente a casa nostra senza fare tappa in sala (in esclusiva digitale per l’acquisto e il noleggio sulle seguenti piattaforme: Apple TV App, Itunes, Google Play, Youtube, Infinity, Sky Primafila, Chili, Rakuten TV, TIMvision, Playstation Store e Microsoft Film&TV).
2019 Toronto International Film Festival – “The Goldfinch” Press Conference
GP Images
In pantaloni di pelle Chloe e morbido golfino bianco di cashmere della collezione Dior Resort 2020, splende di luce propria come un’icona senza tempo, almeno quanto l’opera che riporta in vita. Per l’occasione adotta un tono di voce più soft, trasformando le risposte in un soave bisbiglio, capace di ammaliare come la più classica delle fiabe della buonanotte.
Qual è la sfida maggiore del ruolo?
È complicato portare in scena un turbinio di emozioni in un personaggio così statico, senza parole. Ci ho messo tanto a trovare la sua voce, ma sono abituata a fare vari tentativi, a sbagliare e cadere, per poi rialzarmi. Non scappo mai da un ostacolo, guardo sempre i miei ruoli dritta negli occhi.
Theo, il protagonista, perde la madre in un attentato al Metropolitan Museum of Art e lega quel trauma a una particolare opera, Il cardellino, che la donna amava molto. Quanto è stato difficile relazionarsi a un attore tanto giovane?
Guardare il mondo attraverso gli occhi di un ragazzino ti offre una prospettiva più fresca, ma la sicurezza di Oakes Fegley (interprete di Theo da piccolo, mentre da giovane adulto ha il volto di Ansel Elgort, ndr.) è confortante e ti dà una spinta incredibile. Il set era un’oasi di pace e silenzio, la mia condizione ideale, quindi non potevo esserne più felice.
Il Cardellino
Macall Polay
Uno dei temi chiave della storia è la perdita di chi si ama. Da madre, la condivide?
Ho talmente tante paure da non saperle elencare tutte, non è mai facile superare il senso di lutto e la sola idea di perdere chi ami a volte sembra insopportabile. La storia, però, per me è ricca di speranza.
Cosa ne pensa del libro da cui è tratto il film?
Avere un romanzo a cui guardare è una base solida, una rete di sicurezza, anche se di solito è l’attore che si crea la sua storia, seguendo le istruzioni del regista.
Conosceva già John Crowley (il regista)?
Avevo sentito parlare dei suoi successi teatrali e lo ammiravo prima ancora di conoscerlo, il che per me è cruciale nel realizzare un progetto.
Che tipo di lettrice è?
A 12 anni sono stati gli autori russi, da Tolstoj a Dostoevskij, a ispirarmi per diventare attrice, attraverso i loro personaggi splendidi. Non so cosa darei per poter interpretare Natasha di Guerra e pace, spero succeda prima o poi anche se so bene che una vita intera non basta a dar voce a tutti i ruoli che amo.
Come incamera tutte le emozioni dei ruoli per poi lasciarle andare?
Tu sai che sono finte ma il tuo corpo pensa siano vere e non sempre è facile distaccarsi da un trauma. Per continuare a fare questo mestiere bisogna avere un rapporto salutare con se stessi.
Con la sua arte fa la differenza, in che altro modo le piace lasciare il segno?
Occupandomi dei diritti dei bambini e lottando per proteggere le donne dalla continua violenza. Avvicinarsi alla sofferenza altrui ci rende umani.
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